L’ossimoro supremo di “Roméo et Juliette” al Teatro alla Scala di Milano
“Non, non, ce n’est pas le jour,/ Cette lueur funeste/ N’est que le doux reflet/ Du bel astre des nuits!/ Reste! reste!”
(Juliette, Acte IV, 1)
La notte è folgore d’amore, l’oltrevita non spegne l’ardore d’un abbraccio, bensì ne suggella l’intreccio sublimando i suoi amanti e fulcri di luce in un nucleo di estasi eterna, al pari di una stella: l’ossimoro supremo di “Roméo et Juliette”, sondato dalla ‘melodia interiore’ di Charles Gounod, splenderà in ogni sua valenza metaforica dal 6 al 23 Giugno 2011, al Teatro alla Scala di Milano.
Diretta dal genio franco-canadese Yannik Nézet-Séguin, inevitabilmente ‘palpitante’ d’una drammaturgia immaginifica fortemente evocativa secondo le formule della lighting designer Jennifer Tipton ed esaltata dalle modulazioni vocali offerte da un cast di prestigio internazionale – composto in primo luogo dai giovani soprani lirici Nino Machaidze, georgiana di Tbilisi, e Maria Alejandres, di origini messicane, nonchè dai tenori Vittorio Grigolo e Fernando Portari, per quanto concerne i ruoli principali – l’opera gounodiana trascenderà il vivido climax drammatico dell’omonima tragedia shakespeariana, e come un’onda interiore di armonica “rarefatta sensibilità” (Emilio Sala), canterà il proprio cuore nel cuore di Giulietta e Romeo.
“Ah! Je te l’ai dit, je t’adore!
Dissipe ma nuit!
Sois l’aurore! Sois l’aurore!
Où va mon coeur, où vont mes yeux!
Dispose en reine, dispose de ma vie,
Verse à mon âme assouvie
Toute la lumière des cieux!”
(Roméo, à genoux devant Juliette – Acte II)
Rappresentato per la prima volta il 27 Aprile 1867 al Théâtre-Lyrique Impérial du Châtelet di Parigi – e rimaneggiato più volte da Gounod fino alla versione del 1888 per l’Opéra Garnier – il drame lyrique dei librettisti Jules Barbier e Michel Carrè attinge direttamente alla tragedia di William Shakespeare, senza realizzazioni teatrali intermedie (E. Sala); nella tessitura tonale dell’opera s’intrecciano dunque luci e ombre, genesi ed epilogo, impeto ed ordine sociale, sogno e caduta: se la giovane età dei protagonisti è speculare all’impossibilità degli stessi di varcare la soglia della maturità (S. Sabbadini), la fine li eterna, perché dal buio possano insieme trascendere il dolore dato in sorte dalla gioia, e dal sublime e sacrale splendore possano brillare in cielo come un sole, come vita nella morte.
“La destinée
M’enchaîne à toi sans retour.
Sous tes baisers de flame
Le ciel rayonne en moi”
(Duet Nuit d’hyménée! – Acte IV)
L’amore corre, “céleste flamme”, divampa e si consuma in una sorta di rito sacrificale: se lo stesso Shakespeare, fra 1594 e 1596, condensava l’intreccio della trama in cinque giorni – delineando un percorso drammaturgico anche in questo senso differente dalla precedente versione che il Da Porto (1530 circa) offriva del motivo di origini classiche, e che per prima tuttavia eleggeva nell’Historia la città di Verona a ‘microcosmo’ dell’azione ed i celebri nomi a suggello dei due giovani innamorati – il grande compositore francese Charles Gounod (1818 – 1893), dal canto suo, maturava ed ‘interiorizzava’ l’ascendente progressione lirica dell’opera nell’arco di quattordici anni e quattro mesi della sua vita, alimentando sensibilità e furor creativo con le immense suggestioni della campagna romana ed il loro ricordo a Fréjus: nella “melodia dialogizzata dei quattro (quattro!) duetti d’amore attorno ai quali è costruita tutta la partitura” batte il cuore dell’opera (E. Sala), s’apprende il dolce Segreto, germoglia quel nuovo genere lussureggiante di contraddizioni – il drame lyrique – che nella seconda metà dell’Ottocento rivoluzionava l’estetica dell’opera francese; la melodia dialogizzata come rosa centifoglia schiude ai sensi “ciò che non si vede” (E. Sala), cosicché ad occhi chiusi e in un bacio ci s’immerga nel buio, per cercare la luce.
http://www.teatroallascala.org
Giada Eva Elisa Tarantino