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Città nella città

Città nella città

  I tensioni in Chinatown milanese non finiscono. Un altro cittadino cinese è stato ucciso a coltellate nella notte del 4 dicembre in un ristorante della zona. Secondo le fonti ufficiali è scoppiata una lite tra due gruppi di persone di nazionalità cinese. A un certo punto un uomo armato di coltello ha colpito più volte un altro e poi si è dato alla fuga. La vittima dovrebbe avere circa 40 anni ma sulla sua esatta identità stanno indagando i carabinieri. Oggi a Milano vive e lavora il 20% circa di tutti i cinesi presenti in Italia. Nel Comune di Milano, dove sono ormai presenti da almeno tre generazioni e rappresentano la terza popolazione straniera per numerosità, dopo filippini ed egiziani. La maggior parte dei cittadini della Repubblica Popolare Cinese residenti a Milano proviene da piccoli villaggi rurali attorno alla cittadina di Yuhu, nella provincia dello Zhejiang. Qingtian e Wenzhou-Ouhai sono i distretti di origine del nucleo storico dell’immigrazione cinese in Italia, insediatosi a Milano nel corso degli anni venti. Dagli anni novanta fino ad oggi l’imprenditoria cinese ha conosciuto quattro importanti nuovi sviluppi: la crisi della lavorazione in conto-terzi nel campo del tessile e dell’abbigliamento, il boom dei servizi “etnici”: supermercati, videonoleggi, parrucchieri, fotografi, gioiellerie, ambulatori clandestini e farmacisti, agenzie immobiliari, agenzie di viaggio, società finanziarie, phone-shop, trattorie e ristoranti prevalentemente rivolti ad una clientela cinese. Il settore della lavorazione in conto terzi è oggi quello in cui le prospettive di sviluppo appaiono meno rosee: la contrazione accusata dalla produzione del settore tessile negli ultimi anni ha colpito duramente l’arcipelago dei laboratori. Le condizioni di vita e di lavoro delle famiglie attive in questo settore attualmente sono pessime. Oltre 60% delle imprese cinesi sono fuori legge, migliaia di cinesi lavorano gratis e giornalmente si mette sul mercato 1 mln. di nuovi capi di abbigliamento. La produzione ma anche l’importazione di prodotti del lavoro clandestino forzato nei nostri mercati gravemente danneggia l’economia italiana. La Chinatown milanese è stata definita una citta nella citta con le proprie regole, ordinamenti e gestioni. Il comune di Milano, dopo la famosa rivolta della Chinatown milanese, ha cercato di arginare questo essere, città nella città, attraverso due ordinanze: una in materia di sicurezza e l’altra in materia di controllo degli affitti in nero dando obbligo ai proprietari di immobili di denunciare ai vigili urbani la dimensione e la tipologia dell’appartamento, il numero di inquilini presenti e la regolarità del contratto perché ce un buon motivo di sospettare che a Milano ci sia svariate migliaia di clandestini cinesi. Questo provoca un forte problema di ordine sociale. Ma perché non si riesce a trovare un equilibrio tra i cittadini cinesi e l’amministrazione comunale? Nell’intervista che ho fatto a Fabrizio Perini, coordinatore dell’associazione Laogai RF Onlus, mi ha spiegato che, purtroppo, la mafia cinese si è infiltrata profondamente nella Chinatown milanese e non solo ( un altro chiaro esempio è la citta di Prato) e non vuole che il Comune di Milano e la regione Lombardia provino riportare la legalità nelle zone che, ormai, sono diventate vere e proprie zone franche. Gli interessi economici che sono in ballo nella Chinatown milanese come nelle altre Chinatown italiane impongono ai capi delle comunità cinesi di non cercare le forme di accordo con le autorità locali. Comunque, le autorità italiane devono andare avanti con questa politica per cercare l’integrazione. La mafia cinese è una realtà forte tanto quanto la Camorra, la Mafia e la N’drangheta. Se le autorità locali fanno di tutto per favorire l’integrazione dei cinesi, come mai, chiedete voi, l’integrazione per loro è così difficile? Ci sono i cinesi che vivono in Italia da oltre 10 anni e non parlano neanche l’italiano. Per una questione del sfruttamento da parte di capi delle comunità cinesi e dalle organizzazioni mafiose nei loro confronti, continua Dott. Perini, queste persone vengono fate arrivare nel nostro paese attraverso dei canali clandestini e, una volta in Italia, vengono segregate nelle fabbriche- lagher che sono presenti in tutto il territorio nazionale. Secondo le statistiche, ci sono oltre mille lagher-fabbriche presenti in Italia. I padroni di queste fabbriche, molto spesso esponenti della malavita cinese, non hanno nessun interesse a regolarizzare queste persone dal punto di vista contrattuale e sociale perché dietro il ricatto di farli ritornare in Cina riescono a sfruttarli e ottenere il massimo profitto con la minima spesa facendoli lavorare fino a 15 ore al giorno. Per cui profitto è molto elevato con i costi bassissimi e per questo i capi delle comunità cinesi non vogliono regolarizzare e trovare alcun tipo di intesa.Forse il perché possiamo trovare scavando un po’ nella storia dell’Impero Celeste. I Mass Media presentano l’immagine di una Cina in crescita economica ma pochi sanno che la dittatura comunista cinese sfrutta il proprio popolo a vantaggio di una ridotta nomenclatura di Partito. L’associazione Laogai RF fondata da Harry Wu nel 1992 a Washington, uno dei più noti dissidenti cinesi che ha scontato quasi 20 anni nei campi di concentramento, si occupa della diffusione di notizie riguardo i campi di concentramento e le altre violazioni dei diritti umani in Cina come le esecuzioni capitali di massa con relativa vendita di organi freschi, lo sfruttamento dei bambini sottoposti ai lavori forzati, le rappresaglie nei confronti delle varie Chiese, gli aborti e le sterilizzazioni forzate e la continua repressione contro il dissenso. Grazie alla partecipazione di Harry Wu, fondatore della Laogai RF USA e di Toni Brandi, presidente della Laogai RF Italia, il 2 dicembre è stata presentata, presso la Sala stampa della Camera dei Deputati la Proposta di legge “Disposizioni concernenti il divieto di produzione, importazione e commercio di merci prodotte mediante l’impiego di manodopera forzata, e in schiavitù’ La proposta di legge prende in esame sia gli aspetti culturali che economici della produzione nel nostro paese attraverso l’utilizzo di soggetti ridotti in schiavitù. Con l’applicazione di forti sanzioni economiche e divieti, quali sequestri delle materie prime, dei macchinari e degli stessi luoghi di lavoro sarà possibile scoraggiare e successivamente sconfiggere la piaga di realtà produttive come quella di Prato, che purtroppo non è l’unica in Italia, ma forse solo la più conosciuta. La consegna del premio Nobel per la pace 2010 a  Liu Xiaobo è un primo importante passo per la conquista della Libertà per il popolo cinese non soltanto in Cina ma anche nei paesi dove sono presenti le grandi comunità cinesi. Libertà e non democrazia in quanto la democrazia può essere socialista o capitalista: la libertà per il popolo cinese sarà raggiunta con la caduta del regime.

Yulia Shesternikova

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